“Saranno il maestro Riccardo Muti e l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini a inaugurare, il 10 giugno, il Teatro grande degli scavi di Pompei, rinato grazie ai lavori di restauro durati 15 mesi. L’iniziativa si pone l’obiettivo di rilanciare il sito archeologico più visitato del mondo anche nelle vesti di sede prestigiosa di kermesse internazionali”. Così annunciava un anno fa il quotidiano Il Mattino.
Quasi un anno dopo, il 19 giugno, lo stesso giornale, fa uno scoop: “La Guardia di Finanza ha sequestrato il materiale scenico del Teatro Grande di Pompei (impianto luci, tubi innocenti, assi dei gradoni e del palco). L’ordine è stato emesso dalla Procura di Torre Annunziata per l’inchiesta avviata nel luglio del 2010 sul restauro dell’arena della città archeologica”.
Qualche tempo prima, in un ampio reportage il Corriere della Sera del 25 maggio 2010 denunciava lo scempio che l’indagine della Procura, che ora entra nel vivo, dovrebbe spiegare con cifre e responsabilità: “Già il rumore non lascerebbe dubbi: i martelli pneumatici producono quelle vibrazioni perforanti inequivocabili. Ma poi basta scavalcare una piccola recinzione ed ecco che sì, diventa complicato credere ai propri occhi. I martelli pneumatici diventano quasi un dettaglio nel terribile cantiere del Teatro Grande di Pompei, invaso da betoniere, bob kart, ruspe, cavi, levigatrici e chi più ne ha ne metta. Nel condominio sotto casa vostra sarebbero più prudenti nel fare i lavori. E invece qui, roba di archeologia del II secolo avanti Cristo, gli operai si muovono in mezzo alle rovine come elefanti dentro una cristalleria”.
L’Osservatorio Patrimonio Culturale spiegò, con grande coraggio e chiarezza, in una lettera all’ex ministro Bondi, cosa stava avvenendo negli scavi di Pompei: ”La gravità è facilmente e banalmente dimostrabile, in particolare nella cavea, che, rispetto ad una qualsiasi foto o disegno di diversi momenti della vita degli scavi, risulta completamente costruita ex novo con mattoni in tufo di moderna fattura».
Ancora il racconto del Corriere della Sera “E basta un giro attorno al teatro per crederci. Oppure per non riuscire a credere ai propri occhi. A guardarlo adesso il Teatro Grande di Pompei sembra uno scherzo. Un’ illusione informatica di chi si è divertito a giocare con un’ immagine. Come quando, chessò, si mettono i baffi alla Gioconda”.
Il Gazzettino Vesuviano, in tutto questo non ha mai smesso di anticipare sistematicamente dalle sue colonne e con il suo gruppo facebook Stop Killing Pompeii Ruins quanto di volta in volta riportato dalla stampa nazionale. Senza mai allentare la presa ha denunciato e continua a raccontare le malefatte ai danni del patrimonio archeologico pompeiano.
L’allora commissario straordinario all’area archeologica, nominato con decreto attuato dalla Protezione Civile di Guido Bertolaso, sotto la cui gestione i lavori al “nuovo” Teatro Grande passarono da un appalto iniziale di circa cinquecentomila euro ad oltre sei milioni, dichiaro con enfasi, in un comunicato stampa della soprintendenza diffuso il giorno 11 giugno del 2010: “E’ una serata storica per la rinascita del sito archeologico, festeggiamo stasera la riapertura di un teatro straordinario, e in un momento sicuramente non facile per le arti italiane questa è la risposta che arriva da Pompei, che si afferma sempre più come luogo di elaborazione e proposta culturale, palcoscenico del mondo in cui la bellezza in tutte le sue espressioni è la vera protagonista”. Questa è stata anche l’ultima dichiarazione del super commissario agli scavi, rimosso dal governo proprio nel giorno del concerto di Muti. Quanto accaduto all’uomo ritenuto da Bondi il “salvatore di Pompei” resta ancora molto strano. Durante i suoi 18 mesi e nei sei mesi precedenti dell’ex prefetto Renato Profili, a Pompei si spendono 79 milioni di euro. Certamente non pochi. Nonostante l’inviato del “New York Times” continuava a chiedersi, girando per Pompei dopo il crollo della “Schola Armaturarum e di altre numerose parti: “Ma dove sono stati spesi tutti questi soldi?”. Mentre un giornalista giapponese, ingenuo e non ancora profondo conoscitore dell’Italia, voleva sapere: “Sono stati individuati i responsabili del degrado e della distruzione di Pompei e quali provvedimenti sono stati presi nei loro confronti?”
Che dire a entrambi? Che dire a coloro (gli eventuali agognati Privati), che vogliono contribuire, con soldi e idee, a salvare Pompei per salvare l’immagine dell’intero Paese, soprattutto nel mondo? Che dire al Ministro Galan che è riuscito a scucire al Governo ben 105 milioni da spendere tra Pompei (oltre 50), Napoli e i Campi Flegrei per salvare il patrimonio archeologico napoletano? Che dire ai giovani archeologi che non lavorano a Pompei, mentre solo un archeologo (proprio uno solo) è nell’organico degli scavi? E che dire al mondo che ci biasima e ci deride per come trattiamo il Patrimonio Culturale che tutti, ipocritamente, continuano a definire il “nostro petrolio”?
Forse è necessario che le indagine aperte dalla Magistratura su Pompei giungano al più presto a conclusioni nette che permettano di aprire una salutare operazione “Archeologia Pulita”. Se vi sono responsabilità che si accertino, se vi sono responsabili che si individuino. Un grande progetto per salvare Pompei dal degrado, dalla distruzione ed anche dalla cattiva gestione ancora non è operativo. Sgombrare al più presto le nubi di grandi scandali all’orizzonte, giova a Pompei, alla cultura, all’Italia, alla giustizia, all’economia della provincia di Napoli e ai giovani che sentono parlare di “petrolio” che, però, ancora non da il lavoro che potrebbe.
Sono decenni che periodicamente si ripropone il tema del coinvolgimento dei “privati” per salvare Pompei e non è quasi mai accaduto nulla. Forse la colpa è di una gestione degli scavi che proprio non funziona da molto tempo. I soldi, per ammissione del neo ministro Galan, pienamente condivisibile, sono un secondo problema. Le conclusioni delle diverse indagini della magistratura potranno ridare slancio (ancora una volta la politica ha fallito) al progetto e all’attuazione di una nuova, corretta e giusta gestione del più grande patrimonio culturale dell’umanità.
Antonio Irlando per Il Gazzettino Vesuviano
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