lunedì 7 novembre 2011

Pompei - "Si lavori in silenzio per salvare gli Scavi" di Antonio Irlando

Irlando (Osservatorio patrimonio culturale): «Basta con il festival dei crolli e con i troppi annunci. Ora si operi»

Caro direttore,

negli Scavi di Pompei ricorre un anniversario di grande vergogna e di inaudita gravità. Il 6 novembre non crollò un edificio romano (una patacca come ebbe a dire chi, autorevolmente, intese prontamente minimizzare) ma un velo spesso, tessuto con slogan e banale propaganda, rigido come un muro che nessuno immagina possa crollare.
Fu utilizzato per nascondere il degrado, la lunga incuria e l'abbandono dell'area archeologica di Pompei. Si veniva da un tormentato e discutibilissimo periodo di due anni di gestione commissariale degli Scavi (oggi oggetto di delicate indagini della Procura della Repubblica e della Corte dei conti), voluta dal Governo dopo aver preso atto del fallimento delle gestioni ordinarie. Fu decretato un solenne «stato d'emergenza» che incuriosì i media del mondo intero, proprio come per le alluvioni e le varie catastrofi naturali. «Naturalmente» anche gli scavi furono gestiti dalla Protezione civile. Il ricorso all'emergenza (il Vesuvio aveva sepolto Pompei duemila anni prima, non la settimana precedente) fu giudicato inopportuno dalla Corte dei conti, ma solo dopo che si erano già spesi quasi 79 milioni di euro, con procedure d'appalto semplificate e non tutti in necessarie attività di conservazione dei monumenti archeologici. Ma, a quanto pare, di tutto questo, tra non molto, la magistratura spiegherà i fatti, con cifre e nomi dei responsabili. Spesso, in passato, sempre ai massimi livelli, con ciclica ricorrenza, si è affermato, con enfasi planetaria: «Ecco il piano che salverà Pompei», ed ancora «Privati in campo per salvare Pompei» fino alla sublimazione, dopo la gestione commissariale: «Abbiamo salvato Pompei». A pochi mesi da quella frase pronunciata nel Parlamento, la festa fu rovinata dal crollo della Schola Armaturarum. Da allora un susseguirsi di crolli ad annuncio pubblico, seguito da uno sciame di «anonimi», «minori», «di scarso valore archeologico» e finanche di «due muri moderni», resi noti da un sottosegretario. Vi è stato, ma forse, visto il successo, si prorogherà, un «festival dei crolli», comunicati spesso impropriamente da soggetti diversi dalla soprintendenza competente. Ora sembra ripartire il ciclico ottimismo. Oggi la visita agli scavi del Commissario europeo Hahn, accompagnato dai ministri Galan e Fitto. A Pompei dovrebbero essere spesi tutti i 105 milioni del contributo europeo, ha assicurato Galan, e non circa la metà come previsto nel piano ufficiale d'interventi straordinari, varato dal Ministero ed approvato dal Consiglio superiore dei beni culturali prima dell'estate. Non è da escludere la protesta da parte di quelle aree (Campi Flegrei, Napoli, Ercolano, Stabia, Oplontis, Poggiomarino) prima destinatarie di fondi e poi escluse. Il titolo più usato al mondo per descrivere la condizione dell'area archeologica pompeiana è stato: «La seconda morte di Pompei». Nessuno, crediamo, sia più disposto a leggerlo. L'occasione, forse l'ultima, sono i finanziamenti europei, sempre che, ad interventi straordinari e mirabolanti che creano solo ribalta e talvolta speculazioni, si privilegi un «grande piano straordinario di manutenzione ordinaria», di quelli silenziosi, scientificamente rigorosi, capace di creare tanti posti di lavoro duraturi, che garantiscono un futuro a tanti giovani e al nostro patrimonio culturale.
Antonio Irlando
Osservatorio patrimonio culturale
07 novembre 2011

 

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