sabato 6 giugno 2015

Vico Equense ultima meta


Sono arrivata a Vico Equense sul finire degli anni ’70. Avevo 26 anni, due figli piccoli e insieme a Mario tanta voglia di qualità alta della vita.
Eravamo cittadini fino al midollo. Nati e cresciuti a Napoli in pieno centro, tra piazza Cavour, via Duomo, Ferrovia, emigrammo nell’opulento nord del boom economico, in una Torino piena di operai e sovrastata dalla Fiat, dove gli scioperi e le lotte di classe erano vere, dure e piene di speranza.
Napoli e Torino, due vere grandi città simbolo dell’Italia di allora. Napoli viveva un stagione di rinascita culturale ed economica. Era viva, brillante pur nelle enormi difficoltà. Si costruivano palazzi nelle periferie, Fuorigrotta, Colli Aminei, Camaldoli. I Napoletani compravano case e la città si ingrandiva a dismisura. Ma il cuore di Napoli rimaneva là in quel centro antico, nel quartiere Sanità, tra i Tribunali e Forcella, tra Toledo e i quartieri bene intorno a piazza Dei Maritiri. Da lì il popolo non lo stanavi, non lo convincevi a lasciare case a volte misere e buie e chi poteva permetterselo comprava ancora in centro, alla Ferrovia o a ridosso dei Quartieri Spagnoli, magari dentro i grattacieli moderni che cominciavano a mangiarsi la città.
Dopo il matrimonio andai con Mario in Piemonte, dove trovai una Torino affascinante, apparentemente quieta rispetto al centro cittadino napoletano,  ma pulsava di vita e lavoro.  Era la Torino degli Agnelli e all’alba cambiavano i turni nelle fabbriche oppure si aprivano le infinite attività o imprese che ruotavano intorno alla Fiat. Masse di lavoratori si spostavano sui tram, sui pullman, in auto, avvolte dalla nebbia, spesso affondando i  piedi nella neve. Mi impressionavano soprattutto, io che ero cresciuta nel sole e nel tepore mediterraneo,  le madamin torinesi che con qualunque tempo indossavano disinvoltamente scarpine decoltè con tacchi e suole sottili, mentre io rischiavo l’amputazione dei piedi per congelamento anche senza neve.  
Ovunque ci seguiva tutti l’arco delle Prealpi, maestose vette sempre innevate che spuntavano nella nebbia, illuminate dal sole di primo mattino o dorate nel tramonto.
Nei fine settimana sui portabagagli delle Fiat o delle Alfa Romeo e di qualche rara Renault, si montavano gli sci e si andava tutti in montagna. Sul Setriere o a Bardonecchia, a Cesana Piemonte, a Salice d’Ulzio… Luoghi bellissimi e per me misteriosi, dove faceva subito sera e la giornata passava veloce.
Ho avuto amici carissimi a Torino, che ancora oggi porto nel cuore. Terroni e polentoni… un bel connubio tutto sommato.
Ventidue anni a Napoli e quasi cinque a Torino, poi Vico Equense. Il luogo dove infine abbiamo scelto di vivere, incantati dalla sua bellezza senza pari, dal mare blu intenso, dal profumo di agrumi che l’inondava ovunque in estate. Qualità della vita migliore si pensava. Gente sincera di paese, semplice e priva di sovrastrutture… lontani dalle metropoli per crescere meglio i figli.
Sono tornata a Torino l’anno scorso ospite di una famiglia alla quale siamo ancora profondamente legati. La citta era piu bella di quando l’ho lasciata. Pulitissima, elegante coi suoi palazzi ottocenteschi. Sempre apparentemente quieta ma pulsante di vita, ancora oggi come allora. Si sono raddoppiate le strade pedonali. La storica via Po’ senza macchine ha riacquistato lo splendore del passato con le sue vetrine eleganti, anche se le madamin ormai si sono adattate alle scarpe tecno, senza perdere il loro fascino discreto… è aumentata la qualità della vita.
Napoli no non è migliorata. Bellissima fin dentro le pieghe, con la sua storia plurimillenaria, è stanca e rugosa, sporca e trasandata come un clochard della stazione. Puzza di traffico, il rumore sovrasta persino le onde del mare giù al Molo Beverello… La Cultura sembra essersi dimenticata di lei.
Il paese dove ho scelto di vivere le somiglia molto, bellissimo e trascurato. Dopo circa 40 anni che sto qua la qualità della vita si è notevolmente abbassata, il mare non sempre è blu, non si sente più nemmeno il profumo di agrumi. Il primo odore che senti dopo la Circumvesuviana è quello del ristorante a ridosso di uno dei panorami più incantevoli del mondo.
Te ne devi andare nei posti solitari e nascosti sulle colline per assaporare il silenzio e l’aria profumata. Montechiaro, Asta Piana, S. Maria del Castello, Ticciano. Sperando che la lunga mano dell’insaziabilità umana non contamini anche questi ultimi baluardi della grande bellezza.

1 commento:

Franco Cuomo ha detto...

bellissimo!