Negli uggiosi pomeriggi dei fine settimana invernali si hanno due opportunità di evasione. Andare in qualche posto a mangiare o sedersi in poltrona e ascoltare, vedere, sentire.
Cinema, teatro e cose simili dunque. Per me che sono appassionata di film c'è stato un doppio appuntamento tra sabato e domenica. "The Wolf of Wall Street" e "Philomena" che stanno in giro già da qualche settimana.
Il primo con un Leonardo di Caprio strepitoso, potrebbe essere stato un buon film. Il tema è quello che da un po' sta impazzando sugli schermi e cioè l'arricchimento folle e velocissimo dei finanzieri d'accatto ai danni di poveri creduloni illusi. Poteva essere un buon film se fosse durato una buona oretta di meno, che non avrebbe intaccato né il senso del racconto né la bellezza delle interpretazioni dei bravissimi attori, tutti da Oscar. Un'oretta di orge di sesso sfrenato e di sniffate colossali di cocaina che accompagnano i protagonisti stressati da una vita spericolata tra vagonate di milioni di dollari guadagnati senza notevole sforzo e la terribile consapevolezza di stare su un filo di rasoio affilatissimo che può precipitarli in un baleno nella più nera delle esistenze. Ovvero una vita fatta di sacrifici, di miseria, ma soprattutto di una normalità che è la più odiosa delle prospettive.
Le scene orgiastiche a un certo punto appesantiscono il film e non servono più alla descrizione di un clima che già nella prima mezz'ora è ben chiaro allo spettatore quanto piuttosto ad attirare un pubblico giovanile, anzi adolescenziale, soprattutto al maschile, che non a caso affolla la sala.
Comunque, al di là di queste considerazioni, vista la grandiosità del cast e della regia ci si poteva aspettare di più e anche la sceneggiatura appare piuttosto debole.
La contrapposizione che a un certo punto si frappone tra bene e male mi è sembrata piuttosto retriva ancorché banale. Un poliziotto, infatti, come è naturale, comincia a indagare su questo gruppo di miliardari smargiassi. Ma non è un eroe, anzi. Grigio, triste, ombroso. Come tutto il team investigativo. Questi uomini di legge viaggiano in metropolitana dove "le palle sudano", fanno una vita scialba e squallida. Non abboccano alle lusinghe del danaro facile offerto in cambio dell'indifferenza e del silenzio. Ma, alla fine, il bellissimo Jordan interpretato da un eccellente di Caprio, resterà sulla cresta dell'onda pure se è finito in galera per qualche anno. Mentre l'antagonista agente di polizia continuerà a viaggiare in metropolita e a sudare le palle e non del tutto convinto di avere fatto la scelta giusta.
Abbastanza banale nella sostanza, lo salvano gli interpreti. Secondo me da vietare ai minori di 16 anni, non per semplice moralismo, tutt'altro. Solo perché effettivamente è abbastanza forte vista la portata da Oscar e la capacità di persuasione che questo tipo di film ha sulle giovani menti. Ma si sa, in America questa limitazione è una vera iattura. Laggiù i film censurati nessuno li va a vedere e diventano dei flop.
Passiamo a "Philomena". Un film di ottima fattura tratto dal romanzo "The Lost Child of Philomena Lee" di Martin Sixsmith. Anche la sceneggiatura è di primo livello. Narra la storia, forse vera, di una donna, Philomena appunto, che in gioventù ha concepito un figlio con uno sconosciuto. Philomena viene emarginata dal mondo e rinchiusa in un convento di accoglienza per ragazze madri fino alla maggiore età. Inenarrabili le sue sofferenze nel convento. L'unico suo bene è il figlioletto Antony dal quale verrà presto malvagiamente separata perché il bimbo sarà arbitrariamente adottato da una ricca famiglia americana. La storia parte dalla becera, cattolicissima provincia irlandese degli anni '60, dove un manipolo di suore cattivissime e insensibili hanno solo voglia di vendicarsi di ragazze che non hanno voluto sacrificare la carne allo spirito. Rispecchiando la mentalità sociale e moralistica dell'epoca
Senza mai smettere di pensare al figlio, Philomena vive nell'angoscia che Antony si sia dimenticato di lei o che abbia potuto odiarla per averlo abbandonato. Il fortuito incontro con un gionalista- scrittore in momentanea disgrazia, la porterà in America dove si è consumato il destino del figlio ormai cinquantenne.
Ciò che scoprirà Philomena è sorprendente e a tratti il film commuove. Confesso che una lacrima è scivolata. Pian piano si fa strada l'anima candida e cristallina di questa donna che legge romanzetti rosa e se ne entusiasma e che non ha maturato alcuna forma di odio nonostante la durezza della sua vita e le terribili angosce che l'hanno accompagnata. Il suo modo di essere si contrappone a quello del giornalista scrittore, razionale, ateo e fine intellettuale, il quale dopo l'iniziale terrore e disgusto di doversi cimentare nel racconto di una specie di fouilleton per una rivista tipo Vanithy Faire, si appassiona nella ricerca di Antony e si sorprende ad ammirare la semplicità umana di Philomena. La donna in realtà non è una cattolica assuefatta alla religione passivamente come egli pensava, né una povera sciocca che vive di sentimentalismi. Per lei vale solo il perdono come insegnamento di Cristo, un perdono autentico, senza fronzoli mistico religiosi. Anche la sua semplicità è autentica e ricca. E alla fine, sorprendentemente, sente fortissima la necessità di far sapere al mondo cosa accadeva in quel convento-carcere nel quale c'era solo tanta infelicità e crudeltà in nome di Dio.
I protagonisti della pellicola sono Judi Dench e Steve Coogan molto convincenti e senza le affettazioni che la trama poteva pur comportare. Asciutti e credibilissimi.
Ottima anche la regia. Insomma un film da vedere perché semplicemente è un bel film fatto benissimo. E non è davvero poco.
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